sabato 26 dicembre 2020
Civico museo teatrale, Trieste, Italy
È una famiglia antica, quella delle viole, nata dalle vielle medioevali che venivano usate nelle corti e nelle strade di tutta Europa, predilette da menestrelli, giullari e trovatori e come accompagnamento al canto polifonico, tanto sacro quanto profano. Durante il Rinascimento esse costituivano una famiglia molto eterogenea, in cui si distinguevano viole da gamba, che venivano sostenute tra le ginocchia, o appoggiate in posizione verticale e viole da braccio, che venivano imbracciate come l’odierno violino. Tra queste ultime, la viola d’amore costituisce un tipo particolare di strumento, nato probabilmente in Inghilterra e rimasto popolare durante il periodo barocco, a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. Il primo a farne menzione parrebbe essere stato lo scrittore inglese John Evelyn, che la cita nel suo diario del 1679, in seguito ad un concerto cui aveva assistito, descrivendolo come “il più dolce e sorprendente strumento che io abbia mai sentito”.
Perché la viola d’amore si chiami così, resta un mistero. Secondo alcuni il nome faceva riferimento a una decorazione a forma di testa di fanciullo bendato, cieco come l’amore, che spesso abbelliva la parte terminale del manico. Secondo altri poteva essere un richiamo alla ricchezza e amabilità del suo suono, caratterizzato dalla presenza di 7 corde di risonanza in metallo ritorto, sottostanti le 7 principali in budello. La presenza di queste corde, come l’abitudine ad intagliare i fori sulla tavola armonica a forma di spade fiammeggianti, ha fatto pensare ad uno strumento proveniente dal mondo islamico, ma la sua origine resta ancora oggi nebulosa. La sua accordatura non è fissa, ma viene cambiata in base alla tonalità del brano eseguito
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